Il controllo di vicinato, strumento di sicurezza partecipata

Il controllo di vicinato, strumento di sicurezza partecipata

Sono in atto in vari Comuni italiani esperienze di “controllo di vicinato”, chiamate a volte “controllo di comunità”. Si tratta della versione italiana dell’anglosassone neighbourhood watch, peraltro declinato in modo diverso anche fra U.S.A. e U.K.

Neighbourhood watch

Non esiste una definizione univoca di quella che può essere considerata un “mettersi insieme”, da parte dei cittadini, al fine di adottare azioni che possano ridurre il crimine in una determinata zona della città[2], ma anche un lavorare insieme sviluppando relazioni più strette fra i membri della comunità e gli organi di polizia locale[3].

Altre definizioni rimandano a veri e propri programmi per i quali un gruppo di cittadini che vive nella stessa area lavora insieme, in stretta connessione con gli organi di polizia locale, per ridurre il crimine contemporaneamente migliorando la qualità della vita[4].

Il neighbourhood watch nasce nell’ormai lontano 1964 a seguito dell’uccisione a New York, nei pressi dell’appartamento dove viveva, della ventottenne Kitty Genovese, e dall’osservazione che se i vicini, che pure dovevano aver visto o sentito qualcosa, avessero adottato comportamenti diversi, in particolare avvertendo la polizia di quanto stava per accadere, forse la giovane si sarebbe salvata.

Da allora il neighbourhood watch è divenuto uno strumento usuale di connessione fra cittadini che vivono in una determinata area e l’organo di polizia locale.

Esperienze in Italia

Verso la fine degli anni 2000 anche in Italia si sono avute le prime esperienze di questo tipo, peraltro profondamente diverse dalle esperienze anglosassoni per vari motivi, non ultimo la profonda differenza del sistema di polizia italiano rispetto sia a quello inglese che a quello americano.

A queste si è attribuito il nome di “controllo di vicinato” o “controllo di comunità” anche se in un primo tempo si era parlato di “ronde”, termine militare che si riferisce a giri di perlustrazione di una determinata zona.

A oggi le esperienze di controllo di vicinato sono ormai moltissime, mancando purtroppo un’omogeneità e, più che altro, un quadro normativo specifico che faccia divenire tali esperienze veri e propri contributi a una sicurezza partecipata, più che la strutturazione di gruppi di segnalatori di eventi alla Polizia Locale.

Presupposti giuridico-normativi

La possibilità di attivare il controllo di vicinato fu introdotta dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 , recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori.”, poi convertito in L. 23 aprile 2009, n. 38.

In realtà si trattava, in qualche modo, della regolarizzazione di quanto alcuni Comuni, specialmente del Veneto e della Lombardia, stavano già attuando, cioé il pattugliamento del territorio a opera di gruppi di cittadini.

In particolare, con l’art. 6, c. 3, del D.L. n. 11/2009, si prevedeva la possibilità, per i sindaci, di avvalersi di associazioni tra “cittadini non armati” al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali eventi che avrebbero potuto “arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale.”.

A seguito di una serie di polemiche politiche i quattro commi (3, 4, 5, 6) dell’art. 6 che avrebbero dovuto regolamentare queste prime esperienze di controllo di vicinato, vennero cassati in sede di conversione in legge.

Tali norme venivano peraltro reintrodotte, sia pure diversamente modulate, dall’art. 3 della L. 15 luglio 2009, n. 94, recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, il tutto nell’ambito di una ben più vasta operazione normativa concernente la sicurezza.

Con quattro commi, dopo aver stabilito che i sindaci, previa intesa col prefetto, avrebbero potuto “avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale”, si stabiliva:

  • la necessità di iscrizione delle associazioni in apposito elenco;
  • la priorità, nell’effettuazione di questo servizio, alle associazioni “costituite tra gli appartenenti, in congedo, alle Forze dell’ordine, alle Forze armate e agli altri Corpi dello Stato”;
  • che gli ambiti operativi sarebbero stati determinati con decreto del Ministro dell’interno.

Veniva quindi adottato, da parte del Ministero dell’interno, il Decreto 8 agosto 2009, rubricato “Determinazione degli ambiti operativi delle associazioni di osservatori volontari, requisiti per l’iscrizione nell’elenco prefettizio e modalità di tenuta dei relativi elenchi, di cui ai commi da 40 a 44 dell’articolo 3 della legge 15 luglio 2009, n. 94”.

Si può dire che nel complesso l’apporto di quello che avrebbe dovuto essere il neighbourhood watch italiano, e dunque un effettivo coinvolgimento dei cittadini all’interno di una sicurezza partecipata, veniva squalificato dal legislatore italiano a “mera osservazione in specifiche aree del territorio comunale”, col solo compito di segnalare “alla polizia locale e alle Forze di polizia dello Stato eventi che possono arrecare danno alla sicurezza urbana, ovvero situazioni di disagio sociale.”

Insomma, una sorta di segnalatori organizzati, cosa ben diversa dal vero neighbourhood watch.

A distanza di circa dieci anni, le linee guida per l’attuazione della sicurezza urbana, adottate nel 2018 dalla Conferenza Stato-città e autonomie locali ai sensi dell’art. 5, c. 1, del D.L. 20 febbraio 2017, come convertito dalla l. 18 aprile 2017, n. 48, non modificavano questo stato di cose.

A partire dall’anno 2019 il tema del controllo di vicinato, vuoi anche per un progressivo ritrarsi dello Stato, al di là degli enfatici proclami, dal garantire effettivamente la sicurezza dei cittadini, riprendeva vigore anche a opera di alcune Regioni come il Veneto, che con L.R. 8 agosto 2019, n. 34, prevedeva addirittura specifiche “Norme per il riconoscimento ed il sostegno della funzione sociale del controllo di vicinato nell’ambito di un sistema di cooperazione interistituzionale integrata per la promozione della sicurezza e della legalità”.

Questa operazione suscitava la reazione del Governo che palesando l’incostituzionalità della L.R. Veneto n. 34/2019 ricorreva alla Corte Costituzionale, ottenendone la caducazione integrale con sentenza n. 236 del 2020.

In definitiva, a tutt’oggi, manca un presupposto normativo specifico sull’esperienza del controllo di vicinato, intesa nel senso genuino e originario della parola, così che molte Regioni (es. Emilia Romagna[5]) la fanno rientrare nelle modalità di rapporto del cittadino con la Polizia Locale (sulla quale, almeno per le competenze di polizia amministrativa, le Regioni sicuramente hanno competenza per legiferare).

Aspetti sociologici

Il controllo di vicinato è strettamente attinente alla sicurezza, un concetto veramente complesso, nel quale rientrano sia elementi oggettivi che soggettivi, provenienti da versanti diversi.

Utilizzando una definizione teorica, per “sicurezza” si può intendere il risultato dell’interrelazione dinamica di una serie di parametri che possono essere sia oggettivi che soggettivi, tanto individuali quanto collettivi, di tipo sociologico, psicologico, culturale ed economico.

Il risultato di questa interrelazione è quello che porta la persona a una concreta “percezione di sicurezza” che, nel caso sia negativa, viene poi convertita in richieste verso i vari livelli di governo preposti a questo tipo di politiche.

Una definizione empirica invece, dal punto di vista del cittadino, può essere la seguente: per sicurezza si intende il potersi muovere o permanere su un determinato territorio, non solo senza che possa accadere qualcosa di spiacevole a sé stessi, ai propri cari, ai propri beni, ma senza avere neanche la sensazione che qualcosa di spiacevole potrebbe, prima o poi, accadere[6].

Ovviamente il controllo di vicinato, nella versione dell’originario neighborhood watch, è un forte elemento a favore della sicurezza del territorio proprio per la componente di partecipazione attiva, ma anche di relazione costante e continua con gli organi di polizia.

Questo è vero tanto più se la misura del controllo di vicinato è inserita in una gamma più ampia di politiche per la sicurezza che vedano la partecipazione attiva dei cittadini, anche in considerazione di fattori come l’età, il tutto nella considerazione che il bisogno di sicurezza è una delle necessità primarie dell’uomo, come già osservato da Maslow[7] nel 1954.

In considerazione di quanto sopra, è evidente come il confinare il controllo di vicinato alla mera osservazione e al relazionarsi con gli organi di polizia va a comprimere quell’elemento partecipativo che è in realtà basilare per la sicurezza condivisa.

Problematiche organizzative

La maggioranza delle esperienze italiane attualmente in corso si basano su una convenzione fra associazione, alla quale afferiscono le singole persone, e Comune, il tutto sotto l’egida della competente Prefettura, in considerazione che le segnalazioni non interessano solamente la Polizia Locale ma anche gli altri organi di polizia dello Stato, oltre che del fatto che, per varie motivazioni, lo Stato vuole mantenere il predominio su tutto ciò che è “sicurezza”.

Non essendovi uno schema tipo nazionale di convenzione le varie esperienze vengono declinate, a livello territoriale, nelle forme più variegate, fatto salvo quando la specifica Regione abbia legiferato in materia.

Dal punto di vista prettamente pratico esiste sempre un responsabile dei soggetti che muovendosi sul territorio effettuano le segnalazioni e i collegamenti sono quasi sempre operati tramite sistemi di instant messaging (come WhatsApp o Telegram) con il pregio della facilità di uso, ma con il difetto di non ottenere informazioni strutturate o, addirittura, una informazione distorta o quanto meno priva degli elementi essenziali per le successive operazioni di polizia, e con l’ulteriore difetto di creare dei semplici “sfogatoi” per le più varie lamentele che possono portare poi le esperienze alla cessazione.

I referenti dei gruppi di “controllo di vicinato” rischiano poi di costituire punti di frizione, fungendo da cuscinetto fra chi segnala e gli organi di polizia.

Infine il vero problema: che è solo il Comune, e quindi la sola Polizia Locale, a essere il front-end per questo tipo di segnalazione, mentre nei paesi anglosassoni, visto che il sistema di polizia è diverso, è la polizia in generale a costituire il front-end del controllo di vicinato.

Conclusioni

Il controllo di vicinato, o controllo di comunità, versione italiana del neighbourhood watch, dall’attuale forma di partecipazione dei cittadini all’osservazione del territorio, in ottica di prevenzione, deve divenire un vero e proprio apporto alla sicurezza partecipata, cosa possibile solo se il legislatore, posta la debita attenzione a questo argomento, provvederà a una legislazione nazionale in materia che provveda a conferire uniformità alle varie esperienze in corso.

Sergio Bedessi

[1] “Neighborhood watch” in American English anziché “neighborhood watch”.

[2]Neighbourhood Watch is about people getting together with their neighbours to take action to reduce crime.“, definizione fornita da Metropolitan Police London (UK).

[3] Cfr. Metropolitan Police London (UK) https://www.met.police.uk/advice/advice-and-information/wsi/watch-schemes-initiatives/neighbourhood-watch/

[4]A neighborhood watch program is a group of people living in the same area who want to make their neighborhood safer by working together and in conjunction with local law enforcement to reduce crime and improve their quality of life.”, definizione fornita dalla National Sheriffs’ Association (U.S.A.).

[5] L.R. Emilia Romagna 8 aprile 2021, n. 5 “Disciplina in materia di politiche integrate di sicurezza e ordinamento della polizia locale.”, articoli 9, 10, 11.

[6] Ambedue le definizioni sono tratte da S. Bedessi, Polizia di prossimità: un modello applicativo per i piccoli Comuni, Rivista di polizia locale 3/2003, Maggioli editore

[7] A.H. Maslow, Motivation and personality, Harper and Row Publishers, New York, 1954.