Ma è stato veramente abrogato il reato di abuso d'ufficio?

Ma è stato veramente abrogato il reato di abuso d’ufficio?

La Camera il 9 luglio ha approvato in via definitiva, con 199 voti favorevoli e 102 contrari, il disegno di legge cd. Nordio, che all’articolo 1 abolisce il “tormentato” reato di abuso d’ufficio (articolo 323, codice penale), fattispecie alla quale il legislatore ha cercato nel tempo, invano, di garantire un certo grado di tassatività e determinatezza.

L’intento del Guardasigilli era quello di contrastare la c.d. “burocrazia difensiva” o “paura della firma”, quindi accelerare le tempistiche sugli appalti pubblici, in particolare gli investimenti previsti nel PNRR.

Molti amministratori e funzionari pubblici, per anni, sono stati sottoposti alla gogna mediatica per procedimenti giudiziari che non hanno portato a nessuna sentenza, alcuni “costretti” anche alle dimissioni.

Si trattava di una figura normativa centrale nel contrasto ai reati contro la pubblica amministrazione, che andava a punire condotte di favoritismi e prevaricazioni dell’agente pubblico, non sanzionate da altre fattispecie più gravi.

Spesso veniva usato dai magistrati inquirenti come veicolo (reato spia) per l’accertamento di ulteriori reati più gravi, quali la concussione e la corruzione.

Nel decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92 dedicato alle carceri (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 155, che reca “Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia”) è stata introdotta, a ogni buon conto, una nuova fattispecie di reato rubricata “Indebita destinazione di denaro o di cose mobili”, che opera quando non è esclusa l’ipotesi più grave di reato di peculato d’uso, previsto e punito dall’articolo 314 del codice penale.

Una sorta di sviamento illecito della destinazione di soldi pubblici.

Il  nuovo reato rubricato all’articolo 314-bis del codice penale, che in parte riprende la formulazione dell’abrogato reato di abuso d’ufficio, così recita:

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina a un uso” diverso” da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.”

Inoltre, l’articolo 1 in disamina reca ulteriori modificazioni volte a coordinare altre disposizioni del codice penale con l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio:

  • il comma 1, lettera a), sopprime i riferimenti al reato di abuso d’ufficio contenuti nella rubrica e nel testo dell’art. 322-bis c.p., afferente all’applicabilità delle norme sui delitti contro la pubblica amministrazione ai membri delle Corti internazionali ovvero degli organi dell’Unione europea, o di assemblee parlamentari internazionali, oppure di organizzazioni internazionali, nonché ai funzionari dell’UE;
  • il comma 1, lettera c), numero 1, interviene sull’art. 323-bis, comma 1, c.p., relativo alla circostanza attenuante della particolare tenuità del fatto, sostituendo il riferimento all’abrogato art. 323 (abuso d’ufficio) con quello al nuovo art. 346-bis (traffico di influenze illecite).

Si è tentato, per l’effetto, di salvaguardare la punibilità del c.d. peculato per distrazione, illecito prima autonomo e in seguito assorbito proprio nel reato di abuso d’ufficio.

L’intervento, una sorta di misura-tampone, è stato necessario per colmare, almeno in parte, il vuoto normativo che conseguirà all’abrogazione, quindi evitare certi profili di responsabilità dello Stato italiano nei confronti dell’ONU per il sopravvenuto mancato rispetto della nota Convenzione, a suo tempo sottoscritta.

In dettaglio, la Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione (c.d. Convenzione di Merida), ratificata dall’Italia con la legge n. 116/2009, prevede all’art. 19 il conferimento del carattere di illecito penale, “quando l’atto è stato commesso intenzionalmente, al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per se o per un’altra persona o entità”.

Non si esclude neppure l’eventuale insorgere di questioni di legittimità costituzionali per violazione dell’articolo 117, comma 1, Costituzione, nella parte in cui stabilisce che la potestà legislativa dello Stato deve essere esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali assunti dallo Stato stesso.

Ciò potrebbe suscitare, inevitabilmente, nella comunità internazionale, riflessi negativi sulla credibilità dell’Italia nell’ambito della lotta alla corruzione.

Autorevoli giuristi, e soprattutto i magistrati, commentano già negativamente l’introduzione del nuovo reato.

Si è voluto correre ai ripari con un provvedimento normativo d’urgenza per sopperire a quei vuoti di tutela che saranno conseguenti all’imminente abrogazione dell’abuso.

Pare, quindi, non ancora conclusa la travagliata vicenda normativa e giurisdizionale del reato di abuso d’ufficio, in attesa anche delle decisioni dell’UE che, sulla tematica da qua, sembra si stiano attestando in direzioni opposte.

Emanuele Mattei