Esg Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile: 17 obiettivi per il 2030 Alessandro As... 31 December 2023 Sostenibilità L’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile evidenzia che come sia urgente ridurre i danni della crisi climatica. Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile: il target con un gioco di parole Consentire alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri: ecco a cosa punta l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS). Nata il 3 febbraio del 2016 su iniziativa della Fondazione Unipolis e dell’Università di Roma “Tor Vergata”, è una rete di 300 soggetti impegnati per l’attuazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Sono 17 i suoi obiettivi, sintetizzabili in tre punti: favorire lo sviluppo di una cultura della sostenibilità a tutti i livelli, orientando gli stili di vita, sistemi di convivenza civile e modelli di produzione e di consumo; analizzare le implicazioni e le opportunità per l’Italia legate all’Agenda globale 2030; contribuire alla definizione di strategie nazionali e territoriali, e alla realizzazione di un sistema di monitoraggio dei progressi a livello nazionale e territoriale. Il ruolo chiave delle Regioni: partenza falsa Affinché i vari target possano essere centrati, decisivo il ruolo delle Regioni italiane. Ma si parte male: tra il 2010 e il 2022 gran parte degli Enti locali è fatto passi indietro, anziché avanti. Peggiorano le condizioni che riguardano povertà, qualità degli ecosistemi terrestri, risorse idriche e istituzioni. Rappresentano un’eccezione positiva Valle d’Aosta e Toscana, mentre le peggiori sono Molise e la Basilicata. Aumentano anche le disuguaglianze territoriali. È quanto emerge dal quarto Rapporto sui Territori, pubblicato oggi dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS). Il cui presidente, Pierluigi Stefanini chiede al governo Meloni di intervenire. Azioni mirate e concrete Non è teoria campata per aria: si tratta di questioni concrete. Per esempio, sono 621 mila le frane censite sul territorio italiano, il 66% di quelle complessivamente rilevate in Europa, mentre gli stabilimenti industriali a rischio di incidente rilevante ammontano a 970, molti dei quali si trovano in zone sismiche e di fragilità idrogeologica. Occorre prevenire, piuttosto che “piangere” dopo qualche evento catastrofico. Proprio il tema dei rischi naturali e antropici, da considerare in relazione ai gravi danni prodotti dai cambiamenti climatici, è un aspetto che dovrebbe acquisire una centralità sempre maggiore nel disegno delle politiche. Insieme al rischio sismico e vulcanico, significativo in una vasta parte del Paese per la diffusa vulnerabilità di edifici e infrastrutture, bisogna sottolineare che le alluvioni si stanno moltiplicando con grande frequenza. La scelta dell’esecutivo di unificare la programmazione del Pnrr e quella dei fondi europei e nazionali del ciclo 2021-2027 va nella giusta direzione. Tuttavia, deve assumere in modo esplicito, come quadro di riferimento, le strategie nazionale e regionali per lo sviluppo sostenibile elaborate in questi anni dalle Regioni. Tre i limiti atavici: la mancanza di complementarità con le politiche ordinarie, la polverizzazione degli interventi e la cattiva qualità delle strutture di governo nazionali e regionali. Cosa si può e si deve fare Ben 14 Regioni e Province autonome hanno la possibilità di ridurre sotto il 9% la dispersione scolastica e 15 di fornire servizi per l’infanzia per il 33% degli aventi diritto. Di contro, in 12 territori la quota di laureati sta diminuendo, allontanandosi dall’obiettivo del 50% di laureati (in età 30-34 anni). La copertura della rete Gigabit per tutte le famiglie appare raggiungibile da 18 territori. Al contrario, una situazione critica per la riduzione di rifiuti urbani: in 15 territori, infatti, tale produzione sta aumentando e in nessuna area si registrano miglioramenti significativi. Per i temi a carattere istituzionale, si segnala che, nonostante l’obiettivo di ridurre del 40% la durata dei procedimenti civili, in 12 territori su 21 essa sta aumentando. La questione meridionale Si ripropone infine la tipica dicotomia tra il Mezzogiorno e le altre ripartizioni. Infatti, le Regioni del Sud presentano, mediamente, valori inferiori alla media italiana in 11 obiettivi, mentre nelle altre ripartizioni il numero dei target per i quali si rileva un valore inferiore a quello medio nazionale è mediamente pari a due. Le politiche per il Meridione devono tenere conto dell’amara constatazione, contenuta nell’ottava Relazione sulla politica di coesione della Commissione europea del 2022, che nel periodo 2001-2019 il PIL pro capite delle Regioni italiane in termini reali o è diminuito o è cresciuto di meno del 2%, come in Grecia, Spagna e Portogallo, a differenza dei Paesi dell’Europa orientale dove la politica di coesione ha funzionato. Anche i dati sulla produttività e sulla qualità istituzionale si muovono nella stessa direzione.